mercoledì 25 maggio 2011

Gioco - racconto

L’ho fatto di nuovo. Come fosse un’altra persona è entrata nel mio corpo e la mente. Non riesco a controllarmi, lo devo fare e basta. Si finirà mai quel ballo tra il mio alter ego e tutti loro? Veramente così deve andare? Lo potrò mai fermare?
Stanotte ho perso completamente la testa. E pure mi sono promessa che farò solo una breve passeggiata notturna e tornerò a casa. Invece no. Passeggiata, un drink al bar e si ha iniziato. Sto cominciando di pensare che sono così solo quando sono ubriaca. Ripensandoci – no. Non è così. L’ho fatto anche completamente sobria. Ma è possibile che non riesco a capire me stessa? Come lui, stanotte. Non era affatto interessante.  Solo che aveva quel sguardo che seguiva ogni mio movimento, ogni passo. Dopo un’po’ è diventato divertente fare un gesto sproporzionato solo per  vedere come segue con gli occhi, come un cane segue  la pallina rossa nella mano di padrone.
 Era quasi ridicolo tutto il suo essere. Era ridicolo come era vestito, come stava seduto al banco del bar, anche colore dei suoi capelli era ridicolo. Non mi sono impegnata molto a cercare qualcosa di particolare, qualcosa di interessante. Ho sentito  come l’ombra di irritazione ha coperto tutto il razionalismo che potrei mai avere. Quello era il punto in quale ho perso la testa e ho cominciato di trasformare quel essere ridicolo nella mia vittima. Come un vampiro energetico risucchiavo tutto il fascino che lui riusciva a trovare molto in fondo di se, tutta allegria, lasciando posto solo per  la confusione e l’incertezza. Quando ha cominciato di abbassare lo sguardo , non trovava più le parole e le sue mani sudavano intensamente – sapevo che ho vinto. Sapevo che è mio.
Nei momenti come questo, nella mia mente esiste solo un pensiero: è mio! Si cominciava “ballo della morte”. Sentivo quella leggerezza di movimenti del mio corpo, quel sorriso che non riesco mai a ripetere d’avanti allo specchio. Sono sempre cosciente di come funziona quel mischio di leggerezza e sensibilità. Voglia di possedere l’anima di mia vittima diventava sempre così grande che copriva in me ogni segno di umanità. Lo vedevo d’avanti a me, sempre più debole, sempre più predisposto a fare tutto per me se fosse avrei dato un ordine. Sentivo solletico nello stomaco, che mi ricordava di mantenere controllo, specialmente adesso nel momento così vicino alla pazzia, non posso esagerare.
Mi sono divertita a farlo avvicinare e quando vedevo nel suo sguardo convinzione di vittoria, facevo quel gesto che lo metteva subito al posto suo. Era come un cane, il mio cane.
Come è strano che non si rendono mai conto che sto giocando con loro, che mi diverto per finire a fargli del male a rimanergli solo la delusione e la consapevolezza di perdita. E’ questo che mi piace di più, fargli più deboli di questo che già sono. L’unica cosa è che mi portano e divertimento e la sodisfazzione, come un giocattolo nuovo.
Ultimamente però c’è qualcosa che, per fino, fa diventare mio gioco noioso. Magari è per il fatto che vinco sempre, non si trova mai uno abbastanza forte per farmi sudare la mia vincita, per mettermi, almeno per un attimo, alla difficoltà.
Ultimamente, tornando a casa, dopo un’altra delle mie serate, sento quel strano senso di colpa che cresce e mi porta sempre di più della consapevolezza che in verità siamo in due a perdere. Perché ed io e l’uno di loro torniamo da soli a casa. Ma magari a loro aspetta qualcuno a casa o aspetterà in futuro, casa mia e sempre vuota.
Ma spero che prima o poi si troverà uno abbastanza forte per me. Magari nel mio destino futuro è scritto qualcuno che non si piegherà sotto i miei giochetti e che dirà: ”Aspetta! Fermati! Non ti farò del male se abbassi la guardia. Vedi che magari questa volta può andare diversamente.”
Come vorrei, almeno una volta, non dover tornare a casa da sola. Farmi sconfiggere. Permettermi un attimo di semplice felicità e piacere di compagnia, senza dover proteggermi e combattere fino alla sconfitta finale.
Vorrei sapere che vuol dire essere amata, non solo desiderata.   

martedì 24 maggio 2011

...- racconto

C’è chi combatte per propri sogni, c’è chi le chiude o lascia andare, c’è chi non trova coraggio.
Coraggio – è quello che non aveva. Ma non solo per sognare, ma neanche per andare semplicemente sulla strada al lavoro con gli occhi aperti, non voleva mai guardare le facce di gente che li passavano a canto o vedere le situazioni spiacevoli o meno. Non voleva ai vedere niente. Passava la sua vita come fosse un eremita. Al lavoro non parlava con nessuno, mangiava in ufficio perché poteva essere da solo. A casa non l’ho aspettava nessuno, neanche un animale. C’era solo il vuoto. Vuoto che si ha creato da solo, vuoto che ha voluto avere da sempre. La casa era arredata con il gusto di perfetto minimalista. Se non sarebbe necessario avere le sedie o il tavolo, per una semplice comodità, eliminerebbe anche quelli. Nessun quadro, niente di particolare, niente che potrebbe mai tradire almeno una insignificante parte del suo carattere. La paura di farsi scoprire, di farsi voler bene da qualcuno, paura di farsi conoscere. Era sempre così, voleva sempre così.
Suoi genitori sono andati quando aveva appena diciotto anni, non si sentiva pronto per andare avanti con la vita, dopo una perdita del genere… Non sopportava quelli sguardi di vicini che lo seguivano mentre usciva dalla casa, ormai vuota. Ha deciso di andare fuori dalla città. Con l’eredità dei genitori si ha pagato l’università. Evitava qualunque possibilità di farsi conoscere, voleva restare da solo, senza essere mai disturbato. L’università ha finito con dei voti ottimi, quello l’ho ha permesso di trovarsi tra pochi canditati per il posto di lavoro in una compagnia prestigiosa.  Hanno fatto concorso per quel posto , ha vinto. Nuovo impiego ha festeggiato ovviamente da solo, con un bicchiere di frullato alla fragola.
Già da inizio evitava le domande, sorrisi, non salutava nessuno. Veniva qua solo per lavorare, guadagnare dei soldi per la sua esistenza. Era consapevole che la vita che si ha creato non era la vita con la “v” maiuscola, ma era la vita come voleva lui, la vita che l’ho bastava.
Era così abituato ai suoi rituali di ogni giorno, che non sentiva più il peso di solitudine o di mancanza di qualcuno con chi condividere i pensieri alla fine di giornata. Era al sicuro.
Quel giorno era uguale come tutti altri. Si ha svegliato come sempre alle sei di mattina in punto e ha cominciato il solito rituale quotidiano. Bagno, colazione, lavoro. Tornando a casa ha tolto le lettere dalla posta. C’era qualcosa di nuovo tra le pubblicità dei supermercati e lettere della banca con estratto conto che informava che le bollette sono state pagate. Tra tutto questo c’era una semplice busta bianca. Una certa paura l’ha fatto venire gli brividi. Non gli piacevano le novità, le sorprese, l’imprevisti. Ha aspettato tutto il giorno per aprirla. Non voleva sapere che cosa è dentro. Alla fine ha deciso. Ma, chi potrebbe mai scrivere proprio a lui?
“…
Ci manchi così tanto,
ti stiamo aspettando tutti questi anni.
E aspetteremo finché non deciderai di tornare da noi.
Ti vogliamo un mondo di bene.
Torna…
Con tanto amore
Mamma e papà.”
Ma che vuol dire? Loro non ci sono più!
Nella sua testa hanno cominciato di confondersi diversi ricordi. Tutto era annebbiato. Ricordava che tutto andava bene e da un instante ad altro tutto e scomparso, i suoi genitori, la sua vita e tutto e diventato così vuoto.
Ha aperto gli occhi. Per un’po’ non riusciva a vedere niente, solo la luce bianca. Piano piano tutto diventava più visibile. La stanza con le pareti bianche, la finestra, la sedia a canto al letto sul quale era sdraiato. E sulla sedia una persona addormentata. Mamma, è la mamma! Ma che cosa succede? Dove sono? In un istante il panico ha preso controllo del suo corpo, stranamente debole, non riusciva ad alzarsi. Sono arrivati infermieri, hanno fermato il suo corpo tremante e iniettato le strane siringe. Dopo ha sentito la voce delicata, sensibile.  La voce che conosceva, era la sua voce, voce di lei, di mamma.
-Amore. Figlio mio. Abbiamo aspettato così a lungo il tuo ritorno. Sei di nuovo con noi… Figlio mio.
La guardava come piange, non capiva niente.
Sua madre si ha calmata dopo. Con la voce sempre delicata cercava di spiegarli che si ha successo.
Aveva un incidente, ha perso la conoscenza, ed era andato in coma. Ha dormito dieci anni.
E’ tornato il panico. Dieci anni? La solitudine per  tutto questo tempo. Tutto ciò non era vero? Tutto era solo la creazione di sua subcoscienza?
Ha guardato di nuovo magra faccia di sua madre, ha sentito le lacrime scorrere sulle guance. E come fosse per la prima volta, ha cercato di dire qualcosa. Alla fine ha sentito la propria voce che risuonava nelle parole non ripensate, non calcolate:
-Non sono solo…
Calde mani di sua madre, che lo accarezzavano, erano come la risposta.



venerdì 20 maggio 2011

...

Ha chiuso gli occhi, regolato respiro, piano piano il suo corpo diventava più rilassato. La sensazione di pace immergeva i suoi pensieri. Cercava di ritrovarsi nel mondo quale ha sognato la notte scorsa. Solo la poteva essere libera, solo la poteva sentire caldi raggi del sole sul suo bianco viso.
Un leggero sorriso, come una smorfia storta, è arrivato sulla sua faccia sorprendendola per un'attimo. Ormai sorride così raramente. Ma non lì, non nei suoi sogni, la sorride sempre, a tutti e tutto. Magari come una pazza, ma nel mondo dove vola ogni notte, chiudendo gli occhi, nessuno ha potere su di lei, la è libera.
Nei pensieri che allagavano la sua mente cercava di ritrovare quel pensiero l'unico.
Il corpo ormai addormentato, ha lasciato la mente volare via.
Al'ora si ha ritrovata nella vecchia casa di mattoni rosso scuro, nel aria si sentiva l'odore di umidità. La casa, poca alla volta,si riempiva di persone, lei nel'angolo poteva osservarli senza essere notata da nessuno. Guardava le situazioni ridicole, ammirava colori, ascoltava voci, niente di questo poteva esistere nella sua vita di prima.
Uscendo fuori di casa ha notato che uno dei mattoni, nella parete dove stava nascosta prima, aveva un colore diverso, come mai non l'ha notato prima? Ma ormai doveva proseguire, strana forza la tirava fuori. Questi erano dei momenti di paura, neanche nei soni aveva controllo.
In un'attimo si ha trovata fuori sul una strada senza vita, sentiva solo suo respiro, adesso molto accelerato. In qualche modo sapeva che sta sul'orlo di mondi. Respiro diventava sempre più gelato, irritava la gola, freddo impediva di pensare razionalmente. Voleva scappare, ma dove? Oltrepassare l'orlo o semplicemente svegliarsi e ritornare nel posto dove ha passato dieci anni? Tra le barre di metallo che la circondavano in ogni minuto. Ma se dietro di là è peggio? L'incertezza sembrava fermagli il cuore, sentiva il sangue fermo nelle vene.
Le speranze perse troppo tempo fa, la vita da quale non c'e più il ritorno, solo le barre di metallo e solo un passo avanti per finire da l'altra parte di mondo dei sogni. Dove l'eternità prende il suo significato.
A mattina tutto sembrava uguale. Stesso suono di campanello che comunicava di svegliarsi e preparasi in fretta per uscire a colazione. Stesso segnale che le barre di metallo si aprono e tutti devono stare al'uscita. Stesso voce di donna che gridava comunicati, usando le parolacce come fosse le virgole.
Tutti in riga, tutti pronti e silenzio... Nessuno si ricordava più vuol dire silenzio. La donna ha smesso di gridare, tutti la stavano guardando stupiti. Lei dritta, con le labbra ancora aperte stava indicando qualcosa. La curiosità ha vinto, tutti sono corsi a vedere.
Si cominciavano di sentire singhiozzi, qualcuno andava via in fretta, qualcuno si ha inginocchiato.
Quel viso bianco, che non si ricordava il caldo di raggi del sole, con un sorriso strano, mai visto prima. Corpo rilassato steso sul letto. Sembrava addormentata, dolce, tranquilla, libera...
Sì, adesso era libera...
Le sue dita immobili erano appoggiati sul una delle mattonelle, era di un colore diverso. Sapevano che nascondeva la sua vita di prima.

martedì 17 maggio 2011

Ricerca dei sensi...

Oggi sono ritornata qua dopo non so quanto tempo...
Nel armadio, sotto polvere, aspettano testi non finiti, qualche frase senza nessun significato.
La penna in mano non si trova più bene, spaventata della sincerità delle parole e debolezza dei pensieri...
Griderei per aiuto, ma so che per la risposta non avrei niente che una parola: "pazienza".
Allora, mi faccio una domanda, sono abbastanza forte per aspettare? Sono abbastanza forte per ritrovarmi dopo, quando arriverà tempo per me?
Oggi sono alla ricerca dei sensi...