martedì 24 maggio 2011

...- racconto

C’è chi combatte per propri sogni, c’è chi le chiude o lascia andare, c’è chi non trova coraggio.
Coraggio – è quello che non aveva. Ma non solo per sognare, ma neanche per andare semplicemente sulla strada al lavoro con gli occhi aperti, non voleva mai guardare le facce di gente che li passavano a canto o vedere le situazioni spiacevoli o meno. Non voleva ai vedere niente. Passava la sua vita come fosse un eremita. Al lavoro non parlava con nessuno, mangiava in ufficio perché poteva essere da solo. A casa non l’ho aspettava nessuno, neanche un animale. C’era solo il vuoto. Vuoto che si ha creato da solo, vuoto che ha voluto avere da sempre. La casa era arredata con il gusto di perfetto minimalista. Se non sarebbe necessario avere le sedie o il tavolo, per una semplice comodità, eliminerebbe anche quelli. Nessun quadro, niente di particolare, niente che potrebbe mai tradire almeno una insignificante parte del suo carattere. La paura di farsi scoprire, di farsi voler bene da qualcuno, paura di farsi conoscere. Era sempre così, voleva sempre così.
Suoi genitori sono andati quando aveva appena diciotto anni, non si sentiva pronto per andare avanti con la vita, dopo una perdita del genere… Non sopportava quelli sguardi di vicini che lo seguivano mentre usciva dalla casa, ormai vuota. Ha deciso di andare fuori dalla città. Con l’eredità dei genitori si ha pagato l’università. Evitava qualunque possibilità di farsi conoscere, voleva restare da solo, senza essere mai disturbato. L’università ha finito con dei voti ottimi, quello l’ho ha permesso di trovarsi tra pochi canditati per il posto di lavoro in una compagnia prestigiosa.  Hanno fatto concorso per quel posto , ha vinto. Nuovo impiego ha festeggiato ovviamente da solo, con un bicchiere di frullato alla fragola.
Già da inizio evitava le domande, sorrisi, non salutava nessuno. Veniva qua solo per lavorare, guadagnare dei soldi per la sua esistenza. Era consapevole che la vita che si ha creato non era la vita con la “v” maiuscola, ma era la vita come voleva lui, la vita che l’ho bastava.
Era così abituato ai suoi rituali di ogni giorno, che non sentiva più il peso di solitudine o di mancanza di qualcuno con chi condividere i pensieri alla fine di giornata. Era al sicuro.
Quel giorno era uguale come tutti altri. Si ha svegliato come sempre alle sei di mattina in punto e ha cominciato il solito rituale quotidiano. Bagno, colazione, lavoro. Tornando a casa ha tolto le lettere dalla posta. C’era qualcosa di nuovo tra le pubblicità dei supermercati e lettere della banca con estratto conto che informava che le bollette sono state pagate. Tra tutto questo c’era una semplice busta bianca. Una certa paura l’ha fatto venire gli brividi. Non gli piacevano le novità, le sorprese, l’imprevisti. Ha aspettato tutto il giorno per aprirla. Non voleva sapere che cosa è dentro. Alla fine ha deciso. Ma, chi potrebbe mai scrivere proprio a lui?
“…
Ci manchi così tanto,
ti stiamo aspettando tutti questi anni.
E aspetteremo finché non deciderai di tornare da noi.
Ti vogliamo un mondo di bene.
Torna…
Con tanto amore
Mamma e papà.”
Ma che vuol dire? Loro non ci sono più!
Nella sua testa hanno cominciato di confondersi diversi ricordi. Tutto era annebbiato. Ricordava che tutto andava bene e da un instante ad altro tutto e scomparso, i suoi genitori, la sua vita e tutto e diventato così vuoto.
Ha aperto gli occhi. Per un’po’ non riusciva a vedere niente, solo la luce bianca. Piano piano tutto diventava più visibile. La stanza con le pareti bianche, la finestra, la sedia a canto al letto sul quale era sdraiato. E sulla sedia una persona addormentata. Mamma, è la mamma! Ma che cosa succede? Dove sono? In un istante il panico ha preso controllo del suo corpo, stranamente debole, non riusciva ad alzarsi. Sono arrivati infermieri, hanno fermato il suo corpo tremante e iniettato le strane siringe. Dopo ha sentito la voce delicata, sensibile.  La voce che conosceva, era la sua voce, voce di lei, di mamma.
-Amore. Figlio mio. Abbiamo aspettato così a lungo il tuo ritorno. Sei di nuovo con noi… Figlio mio.
La guardava come piange, non capiva niente.
Sua madre si ha calmata dopo. Con la voce sempre delicata cercava di spiegarli che si ha successo.
Aveva un incidente, ha perso la conoscenza, ed era andato in coma. Ha dormito dieci anni.
E’ tornato il panico. Dieci anni? La solitudine per  tutto questo tempo. Tutto ciò non era vero? Tutto era solo la creazione di sua subcoscienza?
Ha guardato di nuovo magra faccia di sua madre, ha sentito le lacrime scorrere sulle guance. E come fosse per la prima volta, ha cercato di dire qualcosa. Alla fine ha sentito la propria voce che risuonava nelle parole non ripensate, non calcolate:
-Non sono solo…
Calde mani di sua madre, che lo accarezzavano, erano come la risposta.



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